La nostra casa è il Villaggio

La nostra casa è il Villaggio

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«Io non sono una persona molto fantasiosa. Ho bisogno di essere punzecchiata, incentivata. E questo il Villaggio lo ha fatto molto, ma molto bene». Anche a Policoro la chiusura causa Covid-19 non ha fermato le attività del Villaggio per Crescere, che anzi, sono andate avanti a pieno ritmo. E per Catia questo periodo paradossalmente è coinciso con la frequentazione più assidua del centro, con le sue educatrici e anche con le altre mamme. 

Cinquantadue anni, un figlio di 4, è a Policoro da solo uno ma ha scoperto il Villaggio ben da prima, da quando stava ancora a Roma, la sua città natale. «Avevo letto qualcosa su internet quando ancora stavo nella capitale, proprio su Policoro. Poi, una mia amica che lo frequenta me ne ha parlato. Mi piaceva quello che pubblicavano su Facebook, è un approccio diverso all’infanzia: il fatto che ci siano bambini e adulti assieme è molto interessante, innovativo. Negli altri posti invece il bambino sta “solo” con una maestro, un educatore. Invece a me questa filosofia la sposo in pieno. Perché io sto molto con il mio Lorenzo, ci voglio proprio stare con lui». 

La scoperta del Villaggio

Con una premessa come questa l’incontro con il Villaggio non poteva tardare. Solo che c’era un piccolo problema: quando Catia si è trasferita in Basilicata non è andata a vivere direttamente a Policoro. La prima tappa della sua vita lucana è stata a Guardia Perticara, nell’entroterra lucano, dove lavora suo marito. Un paese piccolo, in cui Lorenzo era l’unico bambino. 

Catia questo lo sapeva. Non era nuova della Basilicata, visto che qui veniva per alcuni periodi dell’anno per stare accanto al suo compagno. E sapeva che doveva fare qualche sforzo. «Mi sono fatta i miei 70 kilometri per portare Lorenzo a un incontro del Villaggio. È figlio unico, mi sembra giusto che faccia delle esperienze con altri bambini, di condivisione». Ed è stata in quell’occasione, un anno e mezzo fa, quando Lorenzo ne aveva meno di tre, che ha conosciuto Vittoria, la referente del centro dedicato ai bambini da 0 a 6 anni del comune ionico. 

«Mi ha accolto benissimo. Io sono una persona molto chiusa, riservata, mi sento sempre un pesce fuor d’acqua. Invece, una volta entrata lì, ho avuto la sensazione di essere in una comunità “multietnica” che mi ha fatto sentire a casa». Una “casa” che Catia cercava soprattutto per suo figlio, «Per me era importante proiettare Lorenzo in una realtà meno statica, più aperta rispetto a quella dove vivevamo, non proprio a misura di bambino».

Un po’ per la distanza, che di certo non rendeva agevole una frequentazione assidua, un po’ per l’inverno di mezzo con il suo portato di febbri e malanni vari, Catia e Lorenzo non hanno frequentato tanto il Villaggio, anche se nel frattempo si sono trasferiti proprio a Policoro, anche per Lorenzo.

Il Covid-19 e il tutti chiusi a casa

Poi i primi malati di coronavirus, a febbraio, e in pochi giorni un crescendo che ha portato a bloccare il paese: tutti chiusi a casa. «Credo che marzo, un po’ per tutti, sia stato il periodo più difficile. Per Lorenzo sicuramente. Lui faceva yoga e non lo poteva più fare. Andava a scuola ma non poteva più andarci. La scuola, poi, noi l’abbiamo qui sotto, per cui la vedeva ogni giorno. Mi chiedeva degli amici, e anche della famiglia, cioè i parenti, che stanno a Roma». 

Catia e suo marito Pierluigi hanno cercato di mitigare, per quanto possibile, gli effetti negativi sul loro Lorenzo imposti dall’isolamento. Hanno cercato di passare con lui del tempo in allegria, per non fargli sentire troppo la mancanza dell’interazione con i suoi coetanei. Catia, poi, a causa della paralisi del Paese, ha sostanzialmente perso il lavoro. Meglio, sospeso: «Ho un’agenzia di viaggi, per cui le attività sono venute a mancare da un giorno all’altro, ora speriamo di riprendere». In ogni caso, ha avuto tante ore libere in più da passare con suo figlio.

Il ruolo del Villaggio durante la quarantena

In suo soccorso sono venute Vittoria e le altre educatrici hanno dato molti spunti per passare del tempo di qualità con i propri figli. Ad esempio, il teatrino delle ombre. «Io, mio marito e Lorenzo l’abbiamo rifatto e ci siamo divertiti tantissimo. Poi c’era il gioco dei disegni geometrici, con io che disegnavo e lui che doveva posizionare le forme nel punto giusto della base, sempre realizzata da noi. Il percorso a casa con cuscini, piante e altri oggetti: una specie di corsa ad ostacoli, che facevamo sempre tutti e tre. I giochi con la pasta di sale, fatti da noi, e poi messi in forno. Il biliardino fai da te, io sono una fanatica del biliardino! esulta Catia – e il fiore di carta che metti in acqua e si apre come se fiorisse».

Insomma, i suggerimenti, gli spunti non son mancati. Arrivati non solo dal personale del Villaggio ma anche dalle mamme. Il Villaggio ha fatto sentire tutta la sua forza di comunità, cercando di coinvolgere anche chi, come Catia e Lorenzo, non hanno mai potuto frequentare assiduamente il centro. Nella chat di WhatsApp o su Facebook arrivavano le proposte di educatrici e mamme. Catia le leggeva e le condivideva con Lorenzo, per poi decidere assieme. «Le abbiamo accolte e le abbiamo reinterpretate secondo il nostro sentire. Infatti Lorenzo diceva “sì mamma lo facciamo, però a modo nostro”». Un modo tranquillo, condiviso, allegro. Così com’è la relazione e la vita di Catia, Pierluigi e il loro bambino di 4 anni. 

«Durante il lockdown menomale che c’era il Villaggio. Devo dire grazie all’intraprendenza delle educatrici e anche alle mamme, che sono molto attive. Ho visto fare cose molto belle. E poi la lettura delle fiabe condivise, con Vittoria, Mimma e le altre educatrici, sono attività che apprezziamo molto».

Ad essere apprezzato da Catia è proprio lo spirito che anima il Villaggio: «non è un luogo in cui vai e c’è qualcuno che dirige, che ti dice cosa fare. Non è una scuola ma una struttura orizzontale, dove si fanno attività assieme, condividendole».

Il risveglio

La speranza ora è poter tornare a realizzare progetti, giochi e stringere relazioni – tra bambini e anche tra genitori – di persona, fisicamente, come si faceva un tempo. Facendo l’orto, usando il tubo per innaffiare, coltivando la terra, giocando, parlando, cantando e divertendosi assieme.

«Con Lorenzo aspettiamo con piacere la riapertura del Villaggio, perché l’abbiamo vissuto poco e ora vogliamo viverlo di più. E io ci tango che riapra presto, per poter ricominciare, in un altro modo: vivendo appieno certe dinamiche, che prima avevo vissuto poco», sottolinea Catia. «Per me significa tanto. Io non ho nessuno qui, e avere la possibilità di andare in un luogo dove sei accolta, dove posso conoscere altre persone, dove sai che qualcosa di buono accadrà, per me è molto importante. Per me è la possibilità di ricominciare».

Mario Gottardi

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