Il Villaggio di Torino è uno sprint per papà Riccardo e il piccolo Michail

Il Villaggio di Torino è uno sprint per papà Riccardo e il piccolo Michail

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«Io le educatrici me le immaginavo con camici bianchi e guanti, come gli scienziati che preparavano Ivan Drago contro Rocky». Riccardo ci scherza su, ma è così che pensava a chi ogni giorno anima il Villaggio per Crescere di Torino. «Tania, la mia compagna, mi aveva detto che era a indirizzo montessoriano e io le educatrici le ho immaginate subito così». Sarà forse per questo motivo che il giovane papà di 25 anni era reticente ad accompagnare Michail, 1 anno e 2 mesi al Villaggio. Invece quando ha portato il suo bambino, le ha viste  sedute sul tappeto con i bambini, a giocare con strumenti di uso quotidiano, come i tappi e a leggere storie, senza camici e senza guanti.

«La primissima volta però, è andata Tania. Stavamo cercando un nido, a un certo punto lei mi dice: “guarda, c’è questo posticino vicino casa, è gratuito, me ne ha parlato la mia amica. Vediamo come funziona”». Tania ha portato Michail ed entrambi si sono sentiti accolti. Così ha chiesto a Riccardo di accompagnare il loro bambino, per conoscere le educatrici e vedere lo spazio. «Le dicevo “sì, vado” ma poi non andavo. Trovavo sempre una scusa». Finché Tania ha inchiodato Riccardo alle sue responsabilità. E Riccardo a quel punto non ha avuto scampo: doveva affrontare quegli algidi scienziati in camice bianco e guanti. «Ricordo quel giorno: superata la farmacia in via Brandizzo, abbiamo incontrato una ragazza che ci salutava. “Tu sei Michail!”. Conosceva il bambino meglio di me». Altro che Rocky IV.

Michail ha iniziato ad andare alla “ludoteca”, come Riccardo e sua moglie chiamano il Villaggio, poco dopo la sua apertura, ai primi di ottobre dello scorso anno. «All’inizio ero un po’ scoraggiato. Vedevo che tutti gli altri bambini giocavano a mettere la palla in una buca di minigolf, mentre mio figlio la lanciava. A un certo punto, su cinque giochi, lui ne ha fatti tre perfettamente. Per me una fierezza immensa, da un momento all’altro ha “usato” quello che ha imparato nel tempo, senza che me ne accorgessi». Se Riccardo si è stupito, le educatrici sapevano perfettamente che sarebbe andata così. «Me lo avevano detto dall’inizio: “quando si sente sicuro di sé lo fa. Forzarlo costa stress a te e a lui” e avevano ragione».

I primi mesi, Riccardo e Michail frequentavano il Villaggio tre volte alla settimana. «Quando ho visto questa escalation di apprendimento mi sono ricreduto. Mio figlio è sveglio ma penso abbia avuto molto peso il tempo trascorso insieme al Villaggio, soprattutto perché Michail ha fatto tante cose anche con altre persone, grandi e piccole. È come se gli avesse dato uno “sprint”».

E lo sprint il Villaggio non lo dà solo a Michail ma anche a suo padre e agli altri genitori e nonni che accompagnano i piccoli. Perché il tempo è condiviso ed è prezioso per i piccoli, perché li aiuta a crescere e per i grandi, poiché li aiuta a conoscere i più piccoli. “Le educatrici sono provvidenziali, perché sostengono anche noi “grandi”. È per noi un percorso di crescita ma è più difficile, perché un adulto ha già i suoi “costruiti” rispetto a un bambino». È forse per questo che Ricardo si applica, e tanto. «Per un genitore giovane come me significa imparare giorno dopo giorno. Tanto che alla fine al Villaggio voglio andare più io che Michail, anche perché mi ha fatto riscoprire tante cose che avevo completamente dimenticato della mia infanzia: anche io, come lui, prendevo le cose, le smontavo e le rimontavo».

Al Villaggio Riccardo ha trovato mamme e nonne a cui chiedere consiglio. «Sai che arrivi e trovi la persona con cui hai parlato il giorno prima. La verità è che quando sei a contatto con i bambini, torni anche tu bambino e riesci a non aver più i pregiudizi che hanno gli adulti». E così ti avvicini all’altro, parli con mamme e nonne. E non importa se loro hanno 35 anni e più e tu solo 25.

E poi ci sono i papà «mi hanno dato una grande mano» continua Riccardo. «Ci aggiorniamo a vicenda sui progressi dei nostri bambini, ci aiutiamo e abbiamo creato un ambiente quasi familiare. Con loro parlare è stato più facile, anche perché sono quasi tutti reduci da un’esperienza simile alla mia: spinti con un forcone dalle mogli per andare al Villaggio», scherza ancora Riccardo che poi si fa serio e sottolinea: «La verità è che per venire ho superato uno scoglio piccolo, davvero tanto piccolo, che però sembrava grande».

Mario Gottardi

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